A Vogue’s Tale: Paradise found

Per molto tempo ho creduto che il paradiso fosse blu. Così è stata la mia vita, per la maggior parte del tempo: blu. Alla deriva su una nave per mille giorni, da solo nell’oceano, per poi annegarci dentro. Gialla è stata la parte più breve. Sono morto da ragazzo, un soldato bambino nel deserto del Sahara, scomparso la mattina stessa in cui viene paracadutato lì, nel punto in cui l’Egitto sfiora la Libia. Nera è stata la mia prima vita. Costretto a fissare lo schermo spento di una tv per quarantadue anni in un ospedale psichiatrico di Wichita, Kansas – o forse stavo fluttuando nello spazio infinito? Quando sono arrivato al rosso (ballando per l’Imperatore Shunzhi), ho capito le regole del gioco. Vita dopo vita precipitavo di colore in colore spostandomi, come si usa dire, dal buio verso la luce. L’ultima stazione è bianca. Bianca come i camioncini da trasporto, come il marmo di Carrara sotto secoli di gesso e fuliggine. Bianca come le bandiere della resa, o le colombe della pace.

Ho tredici anni e vivo in Ghana con la mia famiglia, a Cape Coast. I muri del nostro appartamento sono color guscio d’uovo, per quanto io e i miei fratelli li strofiniamo di continuo per far sparire le macchie di umido (intanto nostra madre giura che prima di avere noi i muri brillavano come perle). Le acque in tumulto dell’Atlantico sputano schiuma bianca cadendo sulle rocce, e, nelle mattine nuvolose, la spiaggia sabbiosa è il bianco sbiadito di escrementi di piccione, su cui cavalli neri affondano al galoppo.

So che le mie fantasie sono irrealistiche, viste le condizioni ambientali in cui mi trovo. Tutto ciò che desidero al mondo è una giacca da sci bianca, con un cappuccio contornato di pelliccia di volpe bianca. La vedo nella vetrina del negozio mentre porto a casa la spesa fatta al mercato insieme a mia madre. Il negozio serve soprattutto i turisti occidentali, o i ricchi che vengono da Accra, il che significa che è troppo caro per me. Ma è anche un negozio di articoli per il nuoto, e una giacca invernale in vetrina non ci sta per niente. Mia madre dice che è lì sul manichino da anni. «È uno scherzo, Spoke!», mi dice. «Non ho mai visto un fiocco di neve in vita mia, e quindi tantomeno tu!».

Sono così magra che mi chiamano Spoke, fantasma. Mio fratello più grande dice che ho il braccio così sottile da poterlo infilare nello spazio tra i denti davanti. Anche se riuscissi a mettere da parte i soldi, so bene che la giacca bianca sarebbe di dieci taglie troppo grande. Ma è tutto ciò che desidero, e prima di addormentarmi sogno di infilarmela, e al mattino è la prima cosa a cui penso. La giacca è bianca come un foglio di carta intonso, bianca come denti che non abbiano ancora morso un frutto rosso. Il suono del bianco è il ruggito dell’oceano di notte, agitato sotto la luna. Bianco è il mio futuro: Spoke con indosso quella giacca con il cappuccio contornato di pelliccia di volpe bianca, su una slitta trasportata da husky bianchi, che scompare in mezzo alla neve.

 

Nella foto Vittoria Ceretti by Inez & Vinoodh

Christopher Bollen, Vogue Italia, settembre 2018, n.817, pag.124

*Scrittore, 42 anni, già direttore del magazine V ed Editor at Large di Interview, il suo ultimo libro è The Destroyers (HarperCollins). In Italia, Bollati Boringhieri ha pubblicato quest’anno il suo secondo romanzo, Orient, un giallo ambientato a Long Island. E proprio di crime story parla l’8 settembre a Mantova, ospite del Festivaletteratura.

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